Un futuro drogato.

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Lo sceriffo di Nottingham non potrebbe vivere in Italia, avrebbe troppa concorrenza. Sarebbe un disoccupato vocazionale, come un venditore di granite ad Oslo, un concessionario d'auto sull'Isola di San Giulio o un architetto a Milano. Dovremmo diminuire le tasse, su questo non ci sono dubbi. Paghiamo come degli sceicchi per avere servizi da terzo mondo o poco più. Paghiamo un chilo di fagiolini ottanta euro e non ci lamentiamo neppure, siamo stoici fino all'impossibile. Per fortuna ci sono solerti massaie multitasking che ci riportano con i piedi sulla crosta terrestre e ci ricordano che è purissima, altissima e chiarissima demagogia dire che il costo della politica è eccessivo, che il numero dei parlamentari è spropositato, che gli stipendi dei politici nazionali e regionali è il più alto al mondo, che auto blu non servono per andare a fare la spesa. 

Serve solo diminuire i servizi ai cittadini e spolpare l'osso al quale tutti ormai siamo avvinghiati come piranhas sdentati, perchè l'odontoiatra non ce lo possiamo più permettere. 
La nostra è una società strana, lo si sa da molto tempo. Ma è diventata tanto più strana negli ultimi venti anni. Partiamo dal principio, il consumo. Se c'è consumo la nostra società è ricca, se non si consuma tutto si ferma. Non è una cosa strana, è proprio così. Non è una regola dei berlusconiani o dei bersaniani, è lì, chiara e semplice, la vediamo. Non serve una laurea alla Bocconi. Ora dovremmo aspettarci che, per prosperare, anche noi come una qualunque tribù di Boscimani del Botswana, si faccia in modo che la cosa più preziosa per la nostra sopravvivenza si conservi, prosperi e cresca rigogliosa. 

Invece? No. Noi la logica del consumo l'abbiamo sterminata alla radice. Soldi non ce ne sono più, non consumiamo più che lo strettissimo necessario, quindi anche i negozi non vendono, i negozi non comprano più dalle industrie, le industrie non vendono e licenziano operai, che non hanno soldi per andare nei negozi a comprare, e così il sistema si arrotola su sè stesso, come una girella al cioccolato, come una trombetta di capodanno. Noi siamo i diretti discendenti degli abitanti dell'Isola di Pasqua, che tagliarono tutti gli alberi della loro terra, fino a renderla deserta e sterile, incuranti del disastro che stavano perpetrando ogni giorno. Tagliarono tutto, fino a quando si resero conto che per fare pipì dietro una palma dovevano prendere la canoa e andare sull'isola più vicina, che però era a 2.000 chilometri a est. 

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